Intervento di Maria Cristina Gattei, presidente di Volontarimini, al Consiglio comunale aperto su “Crisi economica e tenuta della coesione  sociale”
  Rimini, 26 gennaio 2012.
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Prima parte
Una domanda: alla luce dei tanti veloci  cambiamenti: quale società stiamo costruendo? Ci sarà ancora posto in questa  società per il “volontariato”? Ma soprattutto ci sarà ancora posto per quei  valori di solidarietà, reciprocità, condivisione, accoglienza per quelle  istanze di giustizia sociale, uguaglianza, fratellanza ecc., che sono da sempre  il fondamento dell’azione di milioni di volontari in Italia ed in Europa? 
  In tutti i paesi crescono le  disuguaglianze, sempre più persone e famiglie scendono sotto la soglia di  povertà, aumenta la marginalizzazione e le politiche di welfare sono  sempre più fragili e meno inclusive. Un esempio per tutti di questo processo in  atto è rappresentato dalle “politiche per l’emigrazione”. Ciò che avviene per  gli immigrati minorenni non accompagnati è significativo. La carriera di questi  minori, in alcuni casi già venduti nel Paese di origine come manovalanza del  crimine organizzato, prevede innanzi tutto l'interruzione della scuola e poi  l’ambulantato, il lavoro di lavavetri o di parcheggiatore abusivo. 
  Se non vengono precocemente intercettati  dai servizi – e accompagnati con percorsi di reinserimento che devono essere in  grado di provvedere con situazioni di accoglienza e di difesa dallo  sfruttamento, nonché di un percorso scolastico di apprendistato e formazione  lavoro – per tali ragazzi si prospetta un rapido accesso nel mondo della  microcriminalità, arruolati dai loro stessi coetanei conosciuti in strada e  attivi nel mondo delle sostanze stupefacenti. 
  In tale contesto di precarietà per  questi nostri concittadini migranti, le nuove normative si sbizzarriscono a  creare situazioni di ulteriore disagio creando ad arte difficoltà al processo  d’integrazione determinando un clima di intolleranza diffusa se non di  esplicito razzismo. 
  Ma occorre non farsi condizionare  dall’esempio testé fatto e pensare che le problematiche dell’esclusione siano  principalmente connesse con i fenomeni migratori: la dinamica inclusione/esclusione  e integrazione/emarginazione è sempre presente e operante all’interno della  società e marca, rendendola evidente, la struttura della disuguaglianza. Così  se oggi maggiormente colpisce gli immigrati, in quanto anello debole della  società, domani che è già oggi, coinvolgerà qualunque altro soggetto della  popolazione autoctona (anziani, disabili, malati mentali e cronici, ecc.). 
  IL CENSIS per quanto riguarda l’Italia  parla di frammentazione “progressiva” di tutte le forme di coesione. Con i  ritagli non si costruisce un tessuto sociale. La globalizzazione liberista ha  fatto crescere le disuguaglianze socio-economiche, aumentando i rischi di  conflitto e rendendo instabili anche le relazioni interpersonali. L’ampio  ricorso a meccanismi regolativi del mercato ha portato a una maggiore  divaricazione dei livelli di vita tra i gruppi sociali, a una crescita della  marginalità e alla diffusione di orientamenti culturali di stampo  individualistico e di tipo opportunistico. L’insieme di questi fattori ha  causato una riduzione del senso di appartenenza alla società, una crisi delle  aggregazioni sociali intermedie, una caduta della fiducia nelle istituzioni,  una riduzione della fiducia negli altri in generale, una crescente incertezza nel  confronto del futuro individuale e collettivo. In sintesi è la crisi del  modello di welfare state. 
  La chiamata rivolta al volontariato in  questo periodo di crisi deve essere gestita con cautela. Il volontariato è un  potente strumento per alleggerire gli effetti della crisi. Tuttavia, è  necessario che tutti gli stakeholders coinvolti siano consapevoli delle  sfide, ma anche delle possibili trappole che l’impatto della crisi attuale può  tendere al panorama del volontariato. Di un volontariato che, nel nostro paese,  gioca un ruolo centrale nella costruzione di una società coesa e inclusiva,  fondata sulla solidarietà. 
  Molte attività di volontariato sono, in  fondo, eventi sociali di incontro reciproco che infondono e facilitano  nell’individuo la percezione di essere utili e di costituire una risorsa per la  società. Andrebbe maggiormente valorizzato, l’impatto che queste attività  producono in termini di benessere personale e di prevenzione del rischio di  esclusione e depressione. Inoltre, il CEV - Centro Europeo del Volontariato sottolinea  il valore economico che il volontariato produce: per ogni euro impiegato nel  volontariato e nelle associazioni si producono servizi e si crea valore di 13  volte superiore a quello investito. 
  Consapevoli di questi benefici occorre  valutare il rischio di abusare del volontariato. Che in quanto attività non  retribuita che scaturisce dalla libera volontà dei cittadini non deve  rappresentare un sostituto del lavoro retribuito. Esso dovrebbe essere  riconosciuto per e nelle sue dinamiche, nei suoi valori e nelle caratteristiche  a lui più proprie. 
  Proprio poiché il volontariato  rappresenta un moltiplicatore di effetti positivi sugli individui e sulla  società in tutta la sua ampiezza, dobbiamo evitare di cadere nella tentazione  di utilizzarlo e strumentalizzarlo per fini e obiettivi che non riguardano  l’essenza del volontariato. I volontari non sono ancore di salvezza laddove si  cessa di erogare servizi e risorse economiche. Occorre comprendere come le  problematiche sociali non siano esclusive questioni di singole parti, ma  direttamente o indirettamente coinvolgono l’intera collettività e la politica è  chiamata di fatto ad individuarne le possibili soluzioni. 
  È la politica che deve ritornare a  svolgere il suo ruolo senza delega, che deve mediare tra il bene di tutti e  quello del singolo, tra l’interesse della collettività e quello di una parte di  essa. Spetta alla politica diffondere l’idea che la solidarietà sociale sia un  valore culturale inalienabile in ogni società civile e come tale debba essere  un fine condiviso da tutti i cittadini, da tutte le donne, da tutti gli uomini.
Seconda parte
Ma ci sono alcune cose che possiamo  fare, e dobbiamo fare in fretta. Il lavoro, il sostegno alla famiglia devono  essere il cuore del nostro lavoro. Un dato: il 60% dei giovani italiani ha la  valigia pronta, per andare a lavorare all'estero. Rimini ha una serie di  opportunità che non può lasciar morire. 
  a) Sburocratizzare: non possono  attendere oltre le aziende che chiedono autorizzazioni, certificati, permessi  di costruire. Mesi, anni talvolta per avere una risposta non sono più  accettabili. Regolamenti vecchi e astrusi, strumentazioni inadeguate rendono  pesante per le aziende e difficile per il Comune rispondere con la velocità che  oggi è necessaria. Questo è un primo investimento. 
  b) Permettere alle aziende di lavorare:  la Green Economy è una richiesta sempre più forte, l'agroalimentare ha  bisogno di crescere in strumentazione e spazi, le aziende turistiche debbono  per una grande parte rinnovarsi e l'edilizia è storicamente, in tutti i Paesi  del mondo, uno dei tre pilastri dell'economia. Unendo i puntini, come ama dire  il Sindaco, abbiamo un'occasione che non dobbiamo perdere: è possibile offrire  lavoro inserendo nel prossimo Piano Strutturale (e velocemente) la possibilità  di investire in agricoltura a fronte di piani di sviluppo veri, e non  "trenini", dare incentivi a chi rinnova la casa secondo criteri  "verdi" e moderni, e permettere alle strutture turistiche di avere un  quadro certo e incentivante a chi scommette sulle proprie strutture e le  innova, ricostruire il costruito della città. Ma farlo, e farlo in fretta,  prima che le aziende del settore non debbano non esserci più. 
  c) Il Credito alle imprese è un'urgenza,  e su questo il Sindaco può giocare la sua moral suasion assieme alle  banche, soprattutto quelle locali e le BCC, che sono l'anima dello sviluppo del  nostro territorio. Accanto al credito, l'amministrazione comunale ha un compito  keynesiano nei confronti del territorio: come farlo dovremo deciderlo insieme,  senza meno trovando una via d'uscita migliore ai pagamenti della Pubblica  Amministrazione. 
  d) Incubatori d'impresa,  internazionalizzazione, spazi hub per nuove imprese innovative, cogliendo anche  l'innovazione del governo Monti delle Srl a 1 euro. Portiamo qui i cervelli,  abbiamo un'Università che guarda al futuro, rendiamo Rimini un territorio  aperto all’innovazione. Soldi, strutture, semplificazione burocratica, scambi  internazionali fra classi e studenti. Rimini deve essere una città aperta  perché così possiamo offrire posti di lavoro qualificati che a catena portano  innovazione. 
  e) Infine, perché deve essere ciò che  sottende tutto, il sociale, la cooperazione sociale, le politiche per la  famiglia, i nidi, i servizi in genere devono essere basati sulla sussidiarietà,  ovvero offrire le condizioni per fare a chi è più vicino. Governare, non  gestire: ci sono centinaia di giovani che sognano di aprire una cooperativa  sociale, un'associazione culturale, un asilo. Permettiamo loro di fare e  lavorare: ci costa meno, funziona meglio. E con un pacchetto di microinterventi  anticrisi che sostenga il tessuto sociale riminesi (revisione dell'accordo  sugli affitti concordati, servizio civile comunale ecc). 
  Io credo che questa discussione sia un  buon viatico per la discussione delle Linee Guida di Bilancio. Dove non  dovremmo guardare al nostro ombelico, ovvero raccogliere soldi per fare  quadrare i nostri conti, ma far quadrare i nostri conti diminuendo il più  possibile lo sforzo per la nostra città. 
  Una città dove una laureata al quinto anno, due master  all'estero, quattro lingue pubblica un annuncio di lavoro dove cerca  "qualsiasi lavoro purché serio" non è degno di una città che guarda  al futuro.